Il
cibo è senza dubbio l'elemento principale per la sopravvivenza del
genere umano. Sulla sua indispensabilità, c'è però, chi ne fa un
profitto. Viviamo, in un sistema globale, in cui fra produttore e
consumatore non esiste più un rapporto diretto, ma bensi i beni
passando da una mano a l'altra fanno perdere le tracce della la loro
vera provenienza. In cui i consumatori vivono con l'illusione di
scegliere fra mille prodotti e i produttori attraverso fusioni
verticali e orizzontali hanno l'impressione di divenire più
competitivi e concorrenziali. Possiamo veramente ritenerci fortunati
di tutto ciò? La rivoluzione del sistema di produzione, in
particolare quello alimentare, ha veramente incrementato il benessere
e il fabbisogno mondiale o invece ha creato una catena che si
dirigerà verso il suo colasso?
Vandana
Shiva nel suo libro « The violence of green revolution »
critica aspramente questo tipo di sviluppo incentrato sul benessere
di pochi e negligente verso il bisogno dei più deboli. La crescita
di una nazione misurata attraverso il suo PIL non può essere
considerata un indice veritiero di sviluppo e benessere di una
nazione. Lo dimostrano le situazioni reali vissute sui territori in
comparazione ai numeri scritti su un data-base.Per
esempio, le statistiche mostrano lo stato indiano del Punjab molto
prosperoso, con una produzione interna lorda per persona di Rs 2,528,
mentre la media procapite misura GDP per l'india è di 1,334. La
media del reddito risulta maggiore del 65% in confronto alla media
Indiana. Secondo il censimento del 1981 la popolazione del Punjab era
di 16,7 millioni.
La
situazione in cui vive la popolazione però non conbacia con
l'euforia dei dati statistici. Lo stato del Punjab è stato segnato
da numerosi conflitti fra le due etnie religiose che hanno portato
alla morte di numerose vittime innocenti.Lo
studio di Vandana Shiva, però non si fermerà a
questa prima analisi, doando una spiegazione debersa dell'accaduto,
imputando parte del problema alla trasformazione avvenuta
nell'agricultura a causa della rivoluzione verde.
In
effetti secondo Muller & Seligson esiste un legame fra inegalità
finanziaria e insurrezioni. La distribuzione eguale delle risorse è
un elemento essenziale per prevenire i conflitti. Ma
nell'ordine del sistema capitalista e nell'ambito agricolo chiamato «
Agrobisnees » il concetto di distribuzione eguale sembra venir
meno fin dal suo inizio. La trasformazione del metodo di produzione
doveva avere come scopo quello di mirare all'abbondanza attraverso le
scoperte tecnologiche al fine di combattere la scarsità della
natura, limitata e variabile. Ma invece, ha dato luogo a
risultati del tutto diversi. Lo dimostra la crisi alimentare
pervenuta nel 2008.
Sulla
base di queste ragioni, dovremmo forse dichiarar fallite le aspettative di questo sistema e indirizzarci verso un altro tipo di modello più
sostenibile? Nel nuovo rapporto ONU sulla fame risultano essere quasi
870 milioni le persone - vale a dire una su otto - che nel biennio
2010-2012 hanno sofferto di malnutrizione cronica1
Vandana
Shiva attraverso il suo progetto chiamato “Nandanya” propone un
ritorno a un'agricoltura più sostenibile a un agricoltura in equilibrio con la natura, a una produzione a filiale diretta. Dove ogni pezzo della catena di produzione sia
controllato direttamente da l'aquirente e esuli da quelle logiche di
mercato che a oggi hanno ridotto il mondo in desequilibrio fra chi troppoha e chi nulla tiene.
Viviamo in
un epoca di cambiamento, in cui i disastri climatici e le crisi
economiche ci tengono stretti nella loro morsa. Quello che gli esseri
umani sono chiamati a fare: è una scelta. La natura ci mostra con
tutta la sua forza che l'universo è limitato e un tipo di economia
come quella capitalistica non può aumentare i suo profitti
all'infinito, senza scontrarsi con questi limiti. In un mondo dove
la maggioranza della popolazione è povera e la minorità è ricca, siamo chiamti a decidere se il profitto di
qualcuno basti a leggittimare le risorse scarse dei tanti. Quello che
sta portando avanti Vandana Shiva, non è solo un movimento Indiano.
Ma è il confronto fra due idee, di cui una dovrà terminare e
l'altra andare avanti. Quello che siamo chiamati a costruire in
quest'epoca storiaca è un nuovo paradigma per lo sviluppo. Negli
ultimi 40 anni, un paese grande come l'India si è visto portare via
le sue risorse primarie a causa di interventi predatori delle grandi
multinazionali, prima fra tutte Monsanto, e all'appoggio dei governi.
E' per contrastare questo modello che è nato in india il movimento
“Nandanya”, grazie le sue lotte, il suo modello di sviluppo
sostenibile proposto e gli innumerevoli sforzi per rendere il popolo
indiano libero e sovrano, a oggi il movimento può vantare delle
piccole conquiste. La banca dei semi. ne è una prova.
Ma la
strada è ancora lunga, quella che “Nandanya” è chiamata a
fare è il confronto con un tipo di cultura e visione che sta
distruggendo la richezza più grande del mondo “le biodiversità”.
Ma questa non è solo la sua lotta, non è solo la lotta contadina,
non è solo la lotta indiana, non è solo la lotta alle
multinazionali. E' una lotta contro noi stessi, che siamo chiamati a
intraprendere. E' la lotta contro l'avidità, contro l'egoismo,
contro l'omologazione dell'essere umano. Lo sviluppo capitalista
pone le sue basi sul concetto di scarsità di risorse in realtà secondo
Vandana Shiva ci sono risorse per tutti, ma niente di più per
nessuno. Negli ultimi anni, la rete del progetto di “Nandanya”
si è sviluppato in tutto il mondo sia nei paesi poveri che ricchi,
nuove organizzazioni si sono unite al progetto dando vita a nuove azioni di sostegno. Ma a fondamento di tutto
il processo, come sempre, ci siamo solo noi, i consumatori con le
nostre scelte. E' nelle nostre mani il potere di far fruttare o
meno l'insegnamento e le attività nate in India e poi proliferate
in tutto il mondo. Facciamo tutti parte, del grande ciclo
dell'economia, facciamo tutti parte del grande ciclo
dell'agricoltura, e facciamo tutti parte del grande ciclo della
vita, dopo tutto anche noi siamo nati da un seme. Ed è importante
rispettarlo in quanto tale.
1http://www.fao.org/news/story/it/item/161886/icode/
l'humanité. De son caractère indispensable, certains, cependant, tirent profit.
Nous vivons dans un système mondial dans lequel il n’existe plus de relation
directe entre le producteur et le consommateur. En effet, les produits passant
d'une main à l'autre les traces de leur véritable origine ont tendance à
disparaître.
Par conséquent, les consommateurs vivent avec l'illusion de choisir
entre de milliers de produits et les producteurs, au travers de fusions verticales
et horizontales, ont l'impression de devenir plus compétitifs et concurrentiels.
Peut-on réellement nous considérer chanceux de tout cela ? La révolution du
système de production, en particulier de l’alimentaire, a-t-elle réellement
augmenté le bien-être du monde ou plutôt a-t-elle créé une chaîne qui se retire
dans son collapsus ?
Vandana Shiva dans son livre « The violence of green revolution » est très
critique au sujet de ce type de développement axé sur la richesse de quelques-
uns et négligeant les besoins des plus faibles. La croissance d'une nation
mesurée par son PIB ne peut pas être considérée comme un véritable indice du
développement et de la prospérité d'une nation. Cela est démontré par des
situations réelles vécues dans les territoires par rapport aux chiffres encodés
dans une base de données.
Par exemple, les statistiques montrent l'état indien du Pendjab très prospère,
avec un produit intérieur brut de Rs 2,528 par personne, alors que la moyenne
du PIB par habitant de l'Inde est 1.334. Le revenu moyen est supérieur à 65%
par rapport à la moyenne indienne. La situation vécue par la population,
cependant, ne coïncide pas avec l'euphorie des données statistiques. L'état du
Pendjab a été marqué par de nombreux conflits religieux entre les deux
groupes ethniques qui ont conduit à la mort de nombreux innocents.1
L'étude de Vandana Shiva ne s'arrêterait pas à cette première analyse et
donnerait une nouvelle explication des évènements en imputant une partie du
problème à la transformation qui a eu lieu dans l'agriculture en raison de la
révolution verte.
En effet, selon Muller & Seligson il y a un lien entre inégalités financières et
insurrections. La répartition équitable des ressources est un élément clé pour
prévenir les conflits2.
Mais dans l'ordre du système capitaliste et dans le domaine de l'agriculture
appellé « Agro-business », la notion de répartition égale, , ne semble pas être
présente dès le commencement. La transformation de la méthode de
production devait avoir comme objectif l'abondance grâce à des avancées
technologiques afin de lutter contre la rareté de la nature, limitée et variable.
Mais, au contraire, elle a donné des résultats totalement différents. Cela est
démontré par la crise alimentaire de 2006.
En nous fondant sur cela, nous devrions peut-être déclarer que ces attentes ont
échoué afin de nous diriger vers un autre type de modèle, plus durable. Dans le
nouveau rapport de l'ONU sur la faim3 presque 870 millions de personnes -
c'est-à-dire une sur huit - en 2010-2012 ont souffert de malnutrition chronique.
Vandana Shiva, à travers son projet «Nandanya », propose un retour à une
agriculture plus durable, une agriculture qui est en équilibre avec la nature,
dans une production entre producteur et consommateur, où chaque étape de la
chaîne de production est contrôlée directement par l'acheteur et où sont
exilées ces logique du marché qui, aujourd'hui, ont rétréci le monde en un
déséquilibre entre ceux qui ont trop et ceux qui n'ont rien.
N ous vivons dans une ère de changement, dans laquelle les catastrophes
climatiques et les crises économiques nous gardent sous leur emprise. Ce que
l'être humain est appeler à faire, c'est un choix. La nature nous montre avec
toutes ses forces que l'univers est limité et un type d'économie capitaliste ne
peut pas augmenter ses profits infiniment, sans se heurter à ces limites.
Dans un monde où la majorité de la population est pauvre et la minorité riche,
nous sommes appelés à décider si le bénéfice de quelqu'un peut légitimer les
ressources rares de beaucoup. Ce que poursuit Vandana Shiva n'est pas
seulement un mouvement indien, mais la comparaison entre deux ces idées,
l’une avec laquelle on devrait en finir et l’autre que l’on devrait suivre. Ce que
nous sommes appelés à construire en ce moment est un nouveau paradigme
pour le développement.
Au cours des 40 dernières années, un grand pays comme l'Inde a vu disparaitre
ses ressources primaires en raison d'actions prédatrices des grandes
entreprises, notamment Monsanto, et du soutien des gouvernements. C’est
pour combattre ce modèle capitaliste qui entraine ces disparitions qu’est né,
en Inde, que le mouvement « Nandanya » qui lutte, propose un modèle de
développement durable et atteste d’innombrables efforts pour rendre le peuple
indien libre et souverain.
entre de milliers de produits et les producteurs, au travers de fusions verticales
et horizontales, ont l'impression de devenir plus compétitifs et concurrentiels.
Peut-on réellement nous considérer chanceux de tout cela ? La révolution du
système de production, en particulier de l’alimentaire, a-t-elle réellement
augmenté le bien-être du monde ou plutôt a-t-elle créé une chaîne qui se retire
dans son collapsus ?
Vandana Shiva dans son livre « The violence of green revolution » est très
critique au sujet de ce type de développement axé sur la richesse de quelques-
uns et négligeant les besoins des plus faibles. La croissance d'une nation
mesurée par son PIB ne peut pas être considérée comme un véritable indice du
développement et de la prospérité d'une nation. Cela est démontré par des
situations réelles vécues dans les territoires par rapport aux chiffres encodés
dans une base de données.
Par exemple, les statistiques montrent l'état indien du Pendjab très prospère,
avec un produit intérieur brut de Rs 2,528 par personne, alors que la moyenne
du PIB par habitant de l'Inde est 1.334. Le revenu moyen est supérieur à 65%
par rapport à la moyenne indienne. La situation vécue par la population,
cependant, ne coïncide pas avec l'euphorie des données statistiques. L'état du
Pendjab a été marqué par de nombreux conflits religieux entre les deux
groupes ethniques qui ont conduit à la mort de nombreux innocents.1
L'étude de Vandana Shiva ne s'arrêterait pas à cette première analyse et
donnerait une nouvelle explication des évènements en imputant une partie du
problème à la transformation qui a eu lieu dans l'agriculture en raison de la
révolution verte.
En effet, selon Muller & Seligson il y a un lien entre inégalités financières et
insurrections. La répartition équitable des ressources est un élément clé pour
prévenir les conflits2.
Mais dans l'ordre du système capitaliste et dans le domaine de l'agriculture
appellé « Agro-business », la notion de répartition égale, , ne semble pas être
présente dès le commencement. La transformation de la méthode de
production devait avoir comme objectif l'abondance grâce à des avancées
technologiques afin de lutter contre la rareté de la nature, limitée et variable.
Mais, au contraire, elle a donné des résultats totalement différents. Cela est
démontré par la crise alimentaire de 2006.
En nous fondant sur cela, nous devrions peut-être déclarer que ces attentes ont
échoué afin de nous diriger vers un autre type de modèle, plus durable. Dans le
nouveau rapport de l'ONU sur la faim3 presque 870 millions de personnes -
c'est-à-dire une sur huit - en 2010-2012 ont souffert de malnutrition chronique.
Vandana Shiva, à travers son projet «Nandanya », propose un retour à une
agriculture plus durable, une agriculture qui est en équilibre avec la nature,
dans une production entre producteur et consommateur, où chaque étape de la
chaîne de production est contrôlée directement par l'acheteur et où sont
exilées ces logique du marché qui, aujourd'hui, ont rétréci le monde en un
déséquilibre entre ceux qui ont trop et ceux qui n'ont rien.
N ous vivons dans une ère de changement, dans laquelle les catastrophes
climatiques et les crises économiques nous gardent sous leur emprise. Ce que
l'être humain est appeler à faire, c'est un choix. La nature nous montre avec
toutes ses forces que l'univers est limité et un type d'économie capitaliste ne
peut pas augmenter ses profits infiniment, sans se heurter à ces limites.
Dans un monde où la majorité de la population est pauvre et la minorité riche,
nous sommes appelés à décider si le bénéfice de quelqu'un peut légitimer les
ressources rares de beaucoup. Ce que poursuit Vandana Shiva n'est pas
seulement un mouvement indien, mais la comparaison entre deux ces idées,
l’une avec laquelle on devrait en finir et l’autre que l’on devrait suivre. Ce que
nous sommes appelés à construire en ce moment est un nouveau paradigme
pour le développement.
Au cours des 40 dernières années, un grand pays comme l'Inde a vu disparaitre
ses ressources primaires en raison d'actions prédatrices des grandes
entreprises, notamment Monsanto, et du soutien des gouvernements. C’est
pour combattre ce modèle capitaliste qui entraine ces disparitions qu’est né,
en Inde, que le mouvement « Nandanya » qui lutte, propose un modèle de
développement durable et atteste d’innombrables efforts pour rendre le peuple
indien libre et souverain.
Aujourd'hui, le mouvement peut se vanter de petites réalisations. Le mars Bija Yatra, Monsanto Quit India, Bija Satyagraha, Beej Swaraj, et la banque des semences en sont la preuve.
Mais la route, celle que « Nandanya » s’est engagée, à suivre est encore
longue : lutter et montrer les liens qui existent entre les monocultures et ses
conséquences, la destruction de la plus grande richesse du monde « la
biodiversité ». Et cette lutte, ce n'est pas seulement la lutte de Nandanya, ce
n'est pas seulement la lutte paysanne, ce n'est pas seulement la lutte des
Indiens, ce n'est pas seulement la lutte contre les multinationales, c'est une
lutte contre nous-mêmes que nous sommes appelés à entreprendre. C'est la
lutte des êtres humains contre la cupidité, l'égoïsme, et l'approbation.
Le développement capitaliste se fonde sur le concept de rareté des ressources,
dans la réalité, selon Vandana Shiva, il existe des ressources pour tout le
monde, mais rien de plus pour personne. Au cours des dernières années, le
projet de réseau « Nandanya » s'est développé autour du monde, autant dans
les pays pauvres que dans les pays riches. De nouvelles organisations ont
rejoint le projet en donnant naissance à de nouvelles mesures de soutien.
Mais à la base de tout le processus, comme toujours, il n'y a que nous, les
consommateurs, avec nos choix. Nous avons dans nos mains le pouvoir de tirer
profit ou non de l'enseignement et des activités nés en Inde et, ensuite, de le
transmettre partout dans le monde.
dans la réalité, selon Vandana Shiva, il existe des ressources pour tout le
monde, mais rien de plus pour personne. Au cours des dernières années, le
projet de réseau « Nandanya » s'est développé autour du monde, autant dans
les pays pauvres que dans les pays riches. De nouvelles organisations ont
rejoint le projet en donnant naissance à de nouvelles mesures de soutien.
Mais à la base de tout le processus, comme toujours, il n'y a que nous, les
consommateurs, avec nos choix. Nous avons dans nos mains le pouvoir de tirer
profit ou non de l'enseignement et des activités nés en Inde et, ensuite, de le
transmettre partout dans le monde.
Nous faisons tous partie du grand cycle de l'économie, nous faisons tous partie du grand cycle de l'agriculture, et nous faisons tous partie du grand cycle de la vie, après tout, nous sommes nés d'une graine. Et il est important de les respecter toutes en tant que telles.
1 Vandana Shiva, The violence of green revolution, Zed Books, 1991, 264p
2 Edward N. Muller, Mitchell A. Seligson, Inequality and Insurgency, The American Political Science Review, Vol.
81, No. 2. (Jun., 1987), pp. 425452
1 Vandana Shiva, The violence of green revolution, Zed Books, 1991, 264p
2 Edward N. Muller, Mitchell A. Seligson, Inequality and Insurgency, The American Political Science Review, Vol.
81, No. 2. (Jun., 1987), pp. 425452
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